La Storia

Emmanuele Lo Russo nasce a Vieste nel 1989 in una famiglia segnata dal fatto musicale. Già questi elementari dati biografici sono sufficienti a indicare uno sviluppo di personalità e un orientamento di vita. La musica gli starà addosso come un avvolgente vento di mare, un destino comune di cui lui diventa interprete e punto di sintesi. Avere tra le mani il violino all’età dei giochi, non ancora sei anni, ed esservi introdotto da un maestro appassionato come Eddy Perpich vuol dire essere condotti precocemente ad una nuova semantica da esercitare accanto alla parola comune quotidiana. Se poi questo nuovo linguaggio è rafforzato da papà Michele clarinettista e direttore di coro, da mamma Cecilia pianista allieva del maestro Lucia Passaglia, dai fratelli violinisti Antonio e e Bernadette e Raffaele violoncellista, si capisce come la musica divenga, in casa Lo Russo, un vero e proprio lessico famigliare.

Credo nasca allora, nei primi passi di questo bambino, quella sorta di trasfigurazione che porta a reificare in musica un fatto, a trovare note per dirsi e rappresentarsi comenoi troviamo le parole e le frasi per la narrazione quotidiana.

Immaginiamo questo adolescente sproporzionato, arrivato infine all’altezza di un buon giocatore di basket, con un violino che apparirà sempre più piccolo tra le sue mani enormi, narrare i suoi vissuti interiori, il suo desiderio di conoscere il mondo e ciò che contiene, per tradurre il suo sentimento della realtà. E’ una via che gli viene indicata e che percorre bruciando le tappe perché il terreno è senza dubbio spianato -pur dentro il sacrificio della rinuncia che permane- da una cultura musicale di una famiglia irripetibile.

Le estati intense, lì nel castello dei Perpich, a Fontecchio, lontano da casa ma dentro questa ricerca del senso che solo autentici maestri di fama internazionale possono elargire. E la signora Lucia, sublime pianista che ti contagia anche mentre ti insegna i sapori di una buona fiorentina, perché bellezza e gusto si compenetrino.

Quante estati così, Emmanuele, dentro la formazione di un maestro esigente, tuo padrino di battesimo, che non teme di dirti con la sua voce baritonale inconfondibile, anch’essa uno strumento, se la tua prova è accettabile o addirittura sublime perché lo sapeva, anche se non te lo diceva apertamente , ’di non aver mai avuto un allievo così’.

Il mare di Vieste, sempre sullo sfondo di casa ti attira e ti intride ti porta altrove tra i suoi flutti per poi farti ritornare, sempre. E poi ancora c’è certamente anche il calcio, passione di tutti i Lo Russo e Cecilia tua madre ne avrebbe dovuti comperare a bizzeffe, leggii e palloni, perché questi sono gli oggetti che si perdono troppo facilmente su quei campi di battaglia…

Aveva cominciato a suonare il violino fin da piccolo, con la sapienza degli infanti che subentra quando quella dei dotti è finita, intuendo la promessa che promana da quello strumento: di qualcosa di meglio, di più forte, di più vero, una nostalgia di assoluto che è lì lì per venire. E lo aveva proprio scelto come suo strumento elettivo, amoroso e compassionevole strumento…

E’ una scala ben lunga quella dei maestri, tipo quella di Giacobbe. Dopo Perpich, quando uno potrebbe ormai vivere di rendita, compare agli occhi di Emmanuele, Hagai Shaham, uno la cui anima abita il violino. Si tratta solo, dopo averlo visionato e averne carpito l’assoluta eccellenza, di scovarlo e di seguirlo, anche fosse in capo al mondo. Inizialmente è la sorella Bernadette, grande violinista al cospetto di Dio, che cerca per sé questo maestro a Tel Aviv, ma Emmanuele accompagnandola ne rimane assolutamente calamitato tanto da riprendere il mano il violino. E così riprende questa avventura della musica, percorso di vita, che dà forma alla partitura di Lo Russo consentendogli di scrivere note musicali persistenti, tracce mnestiche che vengono comunicate da anima ad anima, segno che mentre rivela allo stesso tempo vela, come il Cristo Velato nella Cappella Sansevero di Napoli.

E’ da questa consapevolezza commossa del segno che nascono alcune composizioni brevi ed intense, quasi come laudi medievali.

Qui si colloca un regalo familiare, una autentica sorpresa, che consente ad Emmanuele di ascoltare, eseguita da un’orchestra vera e propria, la sua musica fino ad allora sentita solo nell’intimità del suo cuore e chissà forse sognata. La leggenda vuole che il fratello Gabriele abbia messo insieme gli orchestrali più amici, quelli disposti ad arrivare da qualsiasi distanza per l’evento: la prima direzione del maestro Lo Russo delle sue composizioni per orchestra sinfonica e coro lirico!

E in questa suprema avventura è coinvolta anche la moglie, pianista e soprano Barbara Carrer. E quella musica tiene avvinti centinaia di spettatori al Teatro San Giuseppe di Torino, nel Duomo di Chioggia, Al Teatro Eden di Treviso, migliaia al Meeting di Rimini… La gente avverte in questo suono dell’anima, in queste vibrazioni-sussulti del cuore un rimando potente al destino. È come aiutare un popolo ad accordarsi dicendo che è possibile tornare all’umiltà dell’ascolto… L’apprendimento non è mai finito, a questo livello, e i maestri si incontrano, ci si inciampa provvidenzialmente, restano, lasciano la loro traccia, provocano la tua. E qui si inserisce ancora un Maestro, il direttore d’orchestra per eccellenza, Donato Renzetti, uno che pur essendo enorme ti lascia lo spazio perché possa accadere il tuo gesto efficace, il tuo umile fiat… Ed Emmanuele Lo Russo lo dice.

Questo giovane direttore, di un’eleganza evidentissima, si estolle anche senza palchetto e, se appena allarga le braccia, racchiude tutto un golfo mistico dentro, come a comprendere ogni persona che suona per farla sentire protagonista di un fatto senza eguali, come è ogni esecuzione musicale. È davvero quella di Emmanuele un’apertura alare che potrebbe fargli spiccare il volo dal suo podio, da un momento all’altro, come quando da bambino si immedesimava in un angioletto direttore d’orchestra celeste. O forse è anticipo dell’antico gesto del tuffo, ripetuto tante volte dalle rocce di quella Cala di Campi in cui l’azzurro del cielo e il blu profondo del mare si ribaltano e si fondono insieme nell’immersione finale…
Piergiorgio Bighin